Ma com'è realmente l'Inghilterra? E' la feroce provincia dei sobborghi
descritta da Welsh (vabbè, quella è Scozia, ma non sottilizziamo)? E'
il placido ceto medio descritto da Hornby? E' la lotta dei
poveracci strangolati dal neoliberismo del miglior cinema inglese?
Forse è tutte queste cose, e lo humour, e il cibo cattivo, e le cose
che capitano prima là che qua, e la Thatcher che ha fatto scuola, e la
City, e i Tabloid, e i ragazzi che bevono birra e si picchiano sulle
spiaggie spagnole, e la nostra web agency, con un tizio che veniva alle
riunioni in kilt.
Il libro di Jonathan Coe "La famiglia Winshaw"
è molto inglese. Humour
(soprattutto nero), critica feroce alla generazione del capitalismo
senza freni, della politica, l'economia, la cultura degli anni ottanta,
una trama molto complessa, in cui tutti i fili devono riannodarsi nel
finale dove, come in una soap, una marea di intrecci e coincidenze
sfida le leggi delle probabilità. La storia è quella della famiglia
Winshaw, dal 1942 al 1990, e dello sgangherato biografo Michael Owen
che finisce con odiarli tutti. I Winshaw sono pescecani di professione,
sia che facciano gli imprenditori, i banchieri, i politici o i
giornalisti. Sono cattivi e si trovano perfettamente al loro agio nel
clima Thathceriano.
La trama è complessa e non vale la pena di raccontarla, il libro è
buono, anche forse troppo ambizioso: se non l'avessi letto di seguito,
sotto le feste, avrei rischiato di perdere per strada tutti quei
personaggi che in un modo o nell'altro poi ritornano sempre fuori. Non
è travolgente, ma ti strappa diversi sorrisi. Sarà così l'Inghilterra?