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domenica 25 maggio 2003
 

Ho finito ieri L'universo Elegante, di Brian Greene. Non so nemmeno io perché l'ho comprato. Ero con il mio amico Alberto da Feltrinelli, l'ho visto e l'ho preso, senza neanche sfogliarlo troppo.

E' stato una sorpresa molto positiva. Intendiamoci: non è uno di quei libri che uno sfoglia come un pazzo cercando di raggiungere l'ultima pagina prima dello spuntare del giorno, ma un capitoletto a sera me lo sparavo.

Il libro parla della teoria delle stringhe, l'ultima accreditata teoria del tutto. Secondo questa teoria i costituenti fondamentali della materia sono stringhe vibranti (si ritorna all'universo Pitagorico, la musica come fondamento del mondo). Le stringhe però vibrano in 11 dimensioni, cioè il tempo, le tre dimensioni normali, più altre sette dimensioni che sono ripiegate ("compattificate") talmente in piccolo che sono per noi impossibili da percepire.

Detta così sembra una follia, e sembra una follia perdere tempo su una teoria che (come onestamente fa rilevare Greene) non ha fatto assolutamente nessuna previsione confermata sperimentalmente. L'unico punto in suo favore è che è elegante. Bello che gli scienziati si facciano guidare dal senso estetico, credo che sia un po' come credere in un Dio che non abbia creato il mondo confuso e inconoscibile, ma bello e necessario. Einstein certamente la pensava così.

Greene rispetta il vecchio detto che ogni formula in un libro ne dimezza le vendite. E poi la matematica che sta sotto la teoria delle stringhe è impossibile per i profani (e un po' anche per gli specialisti, non si è ancora trovato il modo di risolvere le equazioni della teoria in modo non approssimato). Quindi solo analogie, solo spiegazioni indirette, ma l'autore si è sforzato moltissimo.

Nei primi capitoli (i più riusciti) sono accennate la teoria della relatività generale e la meccanica quantistica, e si spiega perché sono completamente incompatibili. Vale la pena di leggere anche solo questi capitoli, con il famoso esperimento concettuale della giostra rotante (una specie di tagadà) che ha spianato ad Einstein la strada per la sua più grande realizzazione.

Nei capitoli finali Greene esagera un po' e si lancia in speculazioni su universi paralleli e strappi allo spazio tempo. In questo modo disorienta i lettori meno agguerriti (come il sottoscritto). Considerato però che ho letto un capitolo intero sui flop negli spazi di Calabi-Yau (l'undicesimo) e mi è pure piaciuto, vorrei invitare Greene a non abbandonare la carriera di divulgatore.

Complessivamente un ottimo libro (per chi ama il genere, ovviamente).


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Ultimo chiodo sulla bara del campionato: Due Madonne vs Giardini Margherita
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