L'ultimo libro della saga di J.K.Rowling, "Harry Potter and the Half Blood Prince"
(HP e il principe mezzosangue) non è stato certo semplice da scrivere.
I fili rimasti aperti nei cinque precedenti libri sono talmente tanti
che il rischio di ingarbugliarsi è enorme. Io sono nella situazione
migliore per non perdermi nemmeno un riferimento perché ho letto tutti
i libri due volte, avendo recentemente letto tutta la saga a mia figlia
(*). Eppure, forse a causa della mia lacunosa memoria, ogni tanto ho
perso qualche colpo. La Rowling ha gradualmente abbandonato lungo la
serie ogni pretesa di autoconsistenza del singolo libro e va sempre più
predicando ai convertiti, cioè ai fan della serie.
Con queste limitazioni il libro non è riuscito male. Viene molto
approfondita la figura di Voldemort e finalmente Dumbledore/Silente
esce dal suo ruolo di santino per diventare più umano. La tensione
viene mantenuta con abilità e le tante pagine scorrono con il solito
piacere. I caratteri dei comprimari sono però troppo tirati via (erano
più caratterizzati nei primi libri in molte meno pagine) e la fine è
abbastanza pasticciata. Adesso aspettiamo il settimo (e ultimo) per
ulteriori record di incasso, intanto aspetto la versione in italiano
perché mia figlia non sta nella pelle.
(*) l'esperimento scientifico in corso che si basa su un campione di
due bambini uno dei quali espunto dall'analisi perché si addormenta
troppo presto, ha dato come risultato una netta preferenza degli
ottenni per la saga di Harry Potter. Lontano secondo Michael Ende (La
storia infinita). Tolkien fatica ad entrare in classifica: Lo Hobbit è
piaciucchiato e con Il Signore degli Anelli siamo impantanati verso
pag. 390.