Dopo moltissimo tempo che era nella lista dei libri da leggere, ho approfittato dell'estate per leggere la "Trilogia della frontiera" di Cormack McCarthy. Non pretendo di fare una vera recensione dell'opera di uno scrittore così complesso, se ti va ne puoi trovare in rete finché vuoi (a me piace questa del NYT). Io posso solo raccontare la mia impressione da lettore.
Le storie dei tre libri (ambientate a metà del secolo scorso fra Texas meridionale e Messico) non hanno molta importanza. Ci sono ragazzi che vivono storie più grandi di loro e spesso ci rimangono in mezzo, c'è il rispetto verso gli animali, c'è la strana poesia della frontiera, che non è solo una frontiera geografica ma anche temporale (il mestiere del cowboy sembra già fuori tempo nel 1950, figuriamoci ora), c'è soprattutto la scrittura di McCarthy spezzettata e reticente, studiata apposta per farti riempire i vuoti con l'immaginazione.
Quello che al lettore casuale come me risulta però faticoso è il fatto che i personaggi a un certo punto (specie nel secondo libro) incontrano un vecchio, un indiano, un cieco o un folle o qualcuno con una combinazione di queste caratteristiche che parte con un racconto tangenziale che serve al lirismo della storia ma può farti perdere il filo. Come italiani per fortuna capiamo più o meno lo spagnolo e mi sono divertito a immaginare cosa rimane al lettore americano dei dialoghi non tradotti con i personaggi messicani.
Ci vuole quindi pazienza, ma sarà ricompensata, perché l'atmosfera di questi libri non si dimentica.
