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sabato 30 aprile 2011
 

A vederci da fuori sembriamo tutti ridicoli. Magari ora c'è il Bologna su Sky, o qualcuna di quelle squadre metropolitane miliardarie che peraltro giocano un calcio pessimo. Invece di Di Vaio siamo qui a guardare ragazzini di undici anni che a malapena fanno dieci palleggi se si impegnano. E' una domenica di primavera, siamo tutti in Toscana per un torneo, che forse è solo una scusa per richiamare nella campagna senese un paio di migliaia di ragazzi e genitori a riempire almeno un po' alberghi che hanno visto tempi migliori.

C'è questa cosa di quando gioca tuo figlio che è difficile da spiegare. Non è che pensi che nessuno di questi diventerà mai professionista, neppure il più bravo che vorrebbe festeggiare con un balletto (sono sicuro che lo prova nella sua cameretta) e riesce solo ad accennarlo prima di prendersi gli urlacci del mister che vuole giustamente educarlo al rispetto. Il vero talento è raro per definizione e nessuno di questi ce l'ha. Ma hanno passione e qualche lampo, forse casuale, di gioco, e ci tieni che vincano anche se non è niente. Non ce la fai a stare seduto e ti metti lontano apposta perché la tentazione di teleguidarli è impossibile da reprimere. E vorresti che fossero più furbi e allo stesso tempo ti piacciono perché non lo sono, e quando passano la palla a quello scarso vorresti gridare "No, che è persa!" ma suo padre è di fianco e poi sai che qualcuno lo vorrebbe gridare al tuo (che c'è sempre qualcuno più a nord di te).

Le mamme gridano con le loro voci acute. Tu hai rinunciato da anni a spiegare il fuorigioco e immagini che per loro il valore dei gol in trasferta sia matematica superiore, ma sono le più attive a criticare le scelte del mister che, poveretto, ha perso la voce già al primo giorno del torneo, richiamando i ragazzi più svagati. D'altra parte quando il ragazzo ha cominciato, anni fa, hai visto padri discettare di tattica come a un raduno di allenatori a Coverciano. Questi ne sanno, hai pensato, poi hai giocato con loro a calcetto e cambiato idea.

La squadra che stiamo affrontando viene da Roma, e non è più forte di noi, ma difendono con ordine, hanno un buon portiere e quando sono davanti alla porta tirano dentro. I minuti passano e il golletto che hanno segnato nel primo tempo li sta portando verso la coppa. Vedi le facce dei bambini, vicine alle lacrime, e vorresti fare qualcosa, scendere tu dalla tribuna per spingere quella palla che non vuole entrare.

Cerchi di sdrammatizzare con le battute, mentre i romani festeggiano e i ragazzi si avviano a testa bassa alla premiazione. Lo speaker annuncia che il nostro regista è stato dichiarato miglior giocatore del torneo e allora anche noi abbiamo qualcosa da festeggiare e da urlare. Lo vedi come stringe la coppa e pensi che stanotte dormirà abbracciato a una scultura di latta e forse non avrà mai più nella sua vita un'altra felicità così pura, neppure forse quando fra vent'anni gli nascerà il figlio che poi guarderà da una tribuna. E sono felice per lui e per noi che abbiamo portato in giro questi ragazzi a dare un calcio alla palla e stare con gli amici, che a undici anni, come dice il poeta, sono quelli migliori.


"I never had any friends later on like the ones I had when I was 12.
Jesus, did you?"
Stephen King, The Body (Stand By Me)


3:55:54 PM      comment []



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